Tu sei qui: CronacaIl no profit diventa profit?
Inserito da Lello Pisapia (admin), giovedì 4 maggio 2000 00:00:00
Due sono le visioni che prevalgono in merito al rapporto tra no profit e profit. La prima pone una radicale alterità tra imprese e volontariato: la logica del profitto perseguita dalle imprese genera i problemi, i bisogni e le situazioni di anomalia sociale che il volontariato è poi chiamato a sanare. La seconda, pur ammettendo una differenza tra le due tipologie organizzative, non ne riconosce l'alterità. Basti pensare che sempre più le imprese, per funzionare bene e per realizzare profitti, sono chiamate a servire ed a soddisfare una pluralità di detentori di interessi e non solo i titolari dei profitti. Tutti sembrano, tuttavia, disposti a riconoscere che, nonostante la radicale differenza nei fini che caratterizza imprese profit e volontariato (il profitto per le prime, la solidarietà per le seconde), dalle imprese venga una lezione importante: poiché le risorse a disposizione sono scarse, è sempre necessario adottare modalità organizzative ed allocative efficienti, che consentano di massimizzare l'efficacia del servizio fornito e la quantità di utenti. La lezione che il volontariato può trarre dalle imprese profit è, pertanto, quella dell'efficienza organizzativa e della professionalizzazione. Contemporaneamente, l'esperienza del volontariato richiama tutti i soggetti (anche le imprese) alla responsabilizzazione.
Quale rapporto tra no profit e profit?
La prestazione volontaria è una prestazione gratuita, dunque non retribuita, derivante dal desiderio di servire e condividere la situazione di chi si trova in condizioni di bisogno. Come tale, è compatibile solo con il rimborso di spese documentate e comprovate, mentre è incompatibile con forme di retribuzione nascosta, oltre che irregolare ed in aperta violazione dei contratti di lavoro. Nondimeno, si riscontra che, in molte circostanze, la scarsa capacità di assorbimento del mercato del lavoro induce alcuni soggetti a cercare forme di lavoro camuffate da volontariato, con rimborso spese che sono, comunque, meglio della disoccupazione e della completa mancanza di reddito. Inoltre, si riscontra che, in talune circostanze, le organizzazioni di volontariato, così come altri soggetti del "terzo settore", svolgono un ruolo importante nell'inserimento lavorativo di fasce deboli e marginali della popolazione. Queste situazioni vanno affrontate per quello che sono, senza nascondersi dietro ad ipocrisie: si tratta di forme estreme di lavoro flessibile e non regolato, che dovrebbero spingere ad una revisione della normativa giuslavoristica, con l'obiettivo di far emergere e dare tutela (ma non necessariamente di inquadrare entro forme contrattuali uniche) ai lavoratori coinvolti. Le forme organizzative adottate dalle organizzazioni del "terzo settore" evolvono con il mutare delle finalità, delle modalità di intervento e dei settori di attività delle organizzazioni. Organismi che nascono ed iniziano ad operare valendosi esclusivamente dell'apporto del lavoro volontario, mutano talvolta la loro natura, iniziando a fornire anche servizi pesanti, che possono essere erogati solo grazie alla presenza di personale retribuito che si affianca a quello volontario. Non sono infrequenti i casi in cui il lavoro retribuito diviene l'unica forma lavorativa adottata.
Ed allora?
Occorre definire chiaramente lo status, ma soprattutto definirsi all'interno delle singole realtà. Affrontare il no profit con piglio manageriale è un conto; trasformare il no profit in profit o avere una filosofia operativa che bada più ai conti economici che alle cose da fare è tutt'altro. Al centro del volontariato deve sempre esserci lo spirito che lo anima ed il fine da raggiungere, che va coniugato con i mezzi adoperati. Spesso si assiste alla riedizione moderna del machiavellico "il fine giustifica i mezzi". Ciò non può valere per il volontario, per chi fa del suo operare una scelta di vita. Certo, i conti economici vanno tenuti in bella evidenza, ma deve essere solo un'evidenza e non una ragione di operatività. E poi, il fascino dell'imprevisto, la bellezza dell'azzardo, la voglia di offrire senza nulla pretendere, l'impegno, costante e gratuito: questa è la caratterizzazione del no profit, non altro.
Fonte: Il Portico
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