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Il padre di Luigi Ferrara lancia gravi accuse all'ospedale di Corfù

Inserito da Il Mattino (admin), martedì 28 agosto 2001 00:00:00

«È assurdo. Il paradiso delle vacanze per teen-agers si è trasformato in terzo mondo: mio figlio continuava ad avvertire lancinanti dolori al ventre ed alla schiena, era sdraiato su un lettino, abbandonato da più di 30 ore, intervallate da iniezioni di morfina per zittire i suoi lamenti. Capii che dovevo portarlo via, ma un neurochirurgo, consulente esterno alla struttura ospedaliera, ci ha chiesto l'onorario. Non una parcella fissa, ma un gioco al rialzo considerando quello che avevamo in tasca. Una sorta di dazio per uscire da quell'inferno». Francesco Ferrara - 50 anni, dipendente delle Ferrovie dello Stato, padre di Luigi, lo studente 19enne di Passiano rimasto vittima la scorsa settimana di un grave caduta da uno scoglio nell'isola greca di Corfù - racconta il suo incubo di padre costretto, di fronte al rischio di ritrovarsi suo figlio su una sedie a rotella, a scoprire l'altra faccia dell'«isola bianca». Dove la sabbia e il mare cristallino lasciano lo spazio al vuoto ed al pressappochismo dei servizi offerti dall'assistenza sanitaria pubblica. La sua testimonianza è molto di più: svela trame di omertà e piccoli espedienti. Che, avverte, dovrebbero mettere in guardia chiunque: «I cataloghi delle agenzie di viaggi dipingono Corfù (nella foto al centro) come la meta "più in" delle vacanze giovanili. Nascondono il vero volto di un paese della Comunità Europea a chiara vocazione turistica, dove non solo non si garantisce assistenza nei casi di emergenza, ma si specula sui casi disperati».

La disavventura di Luigi inizia mercoledì. In compagnia di quattro amici sta trascorrendo le sue vacanze premio per la maturità a Corfù. Quella mattina è in spiaggia e si diverte a tuffarsi da alcuni scogli, alti pochi metri. All'improvviso non si rialza dall'acqua: un impatto con il fondo roccioso lo immobilizza. «Sulla spiaggia non sono arrivati i mezzi di soccorso - racconta il padre - Per fortuna alcuni ragazzi inglesi hanno utilizzato delle parti di una barca, costruendo, così, una specie di barella improvvisata». Luigi viene trasportato all'ospedale pubblico di Corfù, dove alle sofferenze ed al timore per la probabile paralisi si aggiungerebbe la disperazione per la mancanza di un'adeguata assistenza. «Gli amici ci hanno avvertito subito - continua Ferrara - Erano impressionati per il trattamento in ospedale. Luigi era stato sottoposto a una visita superficiale, vista la gravità dell'incidente. E pur trattandosi di un'emergenza (codice rosso), per eseguire la Tac hanno dovuto sborsare 300mila lire. Nessuna copertura, nessuna possibilità di rimborso. Senza soldi nessuna radiografia». Intanto la famiglia - mamma Maria Grazia, papà Francesco e lo zio, l'ingegnere Armando Ferraioli, socio della Clinica Ruggiero - si è mobilitata. Tanti chilometri di distanza e solo notizie frammentarie. «I telefoni erano diventati di fuoco - ricordano - Abbiamo chiesto agli amici di Luigi di parlare con il medico. Si è presentato il neurochirurgo, uno specialista esterno alla struttura (priva del reparto in questione). Dapprima è sembrato molto disponibile. Ci ha detto che il ragazzo doveva essere trasferito ad Atene. E noi dovevamo decidere il da farsi». Ma il papà di Luigi decide di portare il figlio in Italia: «Abbiamo valutato tutte le possibilità, il trasporto in elicottero, l'aereo. Alla fine la più rapida e sicura è apparsa l'ambulanza ed il viaggio in traghetto. E l'Humanitas ha dato la sua disponibilità».

Luigi, secondo la testimonianza degli amici, da 30 ore era stato abbandonato in un lettino senza alcuna assistenza, se non la morfina che leniva i dolori. «Volevamo portarlo via, ma il medico ci ha fermato richiedendoci l'onorario. Prima ha fatto accenno ad una cifra, poi un'altra chiedendoci quanto avevamo in tasca. Un'assurdità fatta passare solo perché in quel momento eravamo preoccupati per le condizioni di Luigi. Mi chiedo cosa sarebbe successo a chi non ha le stesse disponibilità economiche. Abbiamo espresso il nostro disappunto al consolato». La corsa contro il tempo è riuscita alla perfezione. «Ringrazio i volontari dell'Humanitas e l'équipe di neurochirurgia dell'Umberto I, guidata dal professore Genovese. Mio figlio è stato operato dopo solo tre ore dal suo arrivo a Nocera. Il dottor Marino, che ha eseguito l'intervento, ci ha spiegato che altro tempo avrebbe potuto compromettere la sua completa guarigione. I frammenti ossei avrebbero potuto intaccare il midollo spinale e paralizzarlo». Eppure le trenta ore nell'ospedale di Corfù erano trascorse senza alcun allarme.

Fonte: Il Portico

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