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La tragedia aerea di Punta Raisi nei ricordi del Capitano Barra, imbarcato sulla nave di salvataggio Proteo

Quarantacinque anni fa, il 23 dicembre 1978, il Capitano Barra era Sottocapo Nocchiero sulla Nave Proteo, che fu tra le navi incaricate delle operazioni di recupero del relitto dell’aereo e delle vittime in esso intrappolate

Inserito da (PNo Editorial Board), venerdì 22 dicembre 2023 11:58:27

Di Salvatore Barra, Capitano Superiore di Lungo Corso

 

Il 23 dicembre 1978 cadde un Aereo di Linea DC 9 Alitalia in prossimità dell'aeroporto palermitano di Punta Raisi (oggi Aeroporto Falcone e Borsellino). Una tragedia immane che coinvolse anche la Nave Salvataggio Proteo, unità della Marina Militare, sulla quale ero imbarcato. Un'esperienza di morte, dolore e solidarietà che segnò la mia vita e quella di tutti i partecipanti alle operazioni di recupero. Oggi, a distanza di 45 anni, ricordo chiaramente tutti gli avvenimenti, la successione cronologica e gli uomini che vi parteciparono, molti di essi, purtroppo, nel frattempo ci hanno lasciati.

 

Il 1978, che si stava per chiudere, fu un anno particolare, destinato ad essere ricordato come uno dei più travagliati della nostra storia moderna, nel pieno dei cosiddetti "anni di piombo". Infatti, nel corso di quell'anno, tra i fatti più importanti si sono succeduti il sequestro e successivo omicidio di Aldo Moro, Presidente della Democrazia Cristiana, e della sua scorta da parte delle Brigate Rosse. Ma fu anche l'anno dei tre Papi: Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II, Primo Papa non italiano dal sedicesimo secolo. Infine, la terribile tragedia del DC 9 Alitalia che sto per raccontare.

 

La Nave PROTEO, costruita dai cantieri navali di Ancona come rimorchiatore d'altura per dare assistenza ai grandi Incrociatori corazzati nel corso della seconda guerra mondiale e varata nel 1943 inizialmente con il nome PERSEO, aveva una lunghezza fuori tutto di 65.94 metri, per una larghezza di 11.66, un pescaggio di 6.70 metri, e poteva sviluppare una velocità massima di 16 nodi. Equipaggio di 132 uomini, di cui 8 Ufficiali e 41 Sottufficiali. Successivamente, nel 1944, fu autoaffondata dai tedeschi nel porto di Trieste per non farla cadere nelle mani del nemico. Lo scafo venne recuperato dalla Marina Inglese. Nel 1951 lo scafo fu riallestito, convertito e rinominato Nave Salvataggio PROTEO, dalla Marina Militare Italiana.

La Nave era particolarmente attrezzata per l'assistenza e salvataggio subacquei dei sommergibili: era dotata infatti di campana subacquea, capace di operare con tre uomini fino a 250 metri di profondità e di una moderna camera iperbarica, utile per farli lavorare in saturazione, ossia senza effettuare la rischiosa pratica della decompressione durante la risalita.

La Nave dipendeva dal COMSUBIN (Comando Subacqueo Incursori) ed aveva una decina di incursori imbarcati ed uno staff di medicina subacquea comandato da un Tenente di vascello Medico.

 

Il 23 dicembre 1978 era un tranquillo sabato prenatalizio: buona parte dell'equipaggio era in licenza ordinaria natalizia e si attendeva il loro rientro per muovere la nave dalla banchina al bacino di carenaggio, previsto per il giorno 27; ad operazioni completate e con nave in bacino sarebbe partito il secondo turno di licenza, di cui ero parte. La nave era stata opportunamente approntata per il bacino, i serbatoi di nafta vuotati e la Santabarbara scaricata da munizioni ed esplosivi.

Quella mattina, sin dalle prime luci dell'alba i notiziari radio televisivi si susseguivano con ripetute edizioni straordinarie: annunciavano che un DC 9 Alitalia era precipitato nello specchio di mare antistante l'aeroporto di Punta Raisi di Palermo. Col passare delle ore i contorni della tragedia si facevano sempre più chiari: l'Aereo era precipitato in mare poco distante dall'Isola delle Femmine, a circa un miglio dall'aeroporto, inabissatosi dopo che si era spaccato in tre tronconi - cabina di comando, fusoliera e coda -. L'aereo viaggiava con 129 persone a bordo, equipaggio incluso: di essi solo 21 si salvarono, miracolosamente espulsi dall'abitacolo, grazie anche al pronto intervento di alcuni pescatori che erano in zona e che, rendendosi immediatamente conto della gravità dell'accaduto, non esitarono a recidere le reti dei loro pescherecci per accelerare le operazioni di soccorso, salvandoli, sottraendoli così alle fredde acque del mare.

Gli altri rimasero fatalmente intrappolati nella fusoliera e con essa si inabissarono.

 

Durante l'assemblea quotidiana delle otto, dopo il rituale dell'alzabandiera, il Comandante in seconda ci avvisò che al Ministero della Difesa a Roma si stava valutando l'impiego della nostra unità per le operazioni di recupero del relitto dell'aereo e delle vittime in esso intrappolate, ma - ci rassicurò che - "si tratta solo di una remota eventualità perché la Nave non era operativa in quel momento, essendo pronta per il bacino di carenaggio programmato.

"La remota possibilità" nel volgere di breve tempo si trasformò in certezza. Il Ministero della Difesa, infatti, aveva confermato l'invio urgente di Nave Proteo, Nave Cavezzale e della Nave Idrografica Ammiraglio Magnaghi sul luogo del disastro.

 

Il clima natalizio creato sulla nave in quei giorni, con addobbi, presepio e luminarie, si sciolse come neve al sole: tutti pensavamo alle vittime di quel disastro ed alle loro famiglie, come del resto, la maggior parte degli italiani, scossi da quel drammatico evento.

 

Oltre ai carburanti, munizioni ed equipaggio, la nave aveva buona parte della tuga di poppa smantellata per i lavori.

 

Nel giro di qualche ora, si mise in moto una macchina organizzativa con l'arrivo di squadre di operai specializzati, derrate di viveri, munizioni, carburante, insomma... una miriade di attività dall'apparente caos ma con ordine impeccabile. Ne rimasi sbalordito. Il personale in licenza fu raggiunto da ingiunzione di rientro, chi non rispondeva veniva rintracciato e precettato dai Carabinieri. In meno di 24 ore la nave era pronta a partire, ricostruita, rifornita, equipaggiata e con l'equipaggio al completo. Allora ricoprivo il grado di Sottocapo Nocchiero.

 

Partimmo dal porto della Spezia la sera del 24 dicembre 1978, avevo poco più di 20 anni ed era il mio primo (di una lunga serie) Natale che passavo fuori di casa. Nave Proteo procedeva verso Palermo alla massima velocità, circa 14 nodi. Il giorno di Natale lo passammo in navigazione, il tempo era bellissimo con cielo terso e mare calmo, tutto il personale libero dalle guardie venne impiegato per la pitturazione alle parti della sovrastrutture riparate o necessitanti di pitturazione, allo scopo di rendere la Nave "presentabile" all'arrivo a Palermo. Gli Incursori del COMSUBIN controllarono minuziosamente tutte le attrezzature subacquee.

Al tramonto la suggestiva cerimonia dell'ammaina bandiera in navigazione con l'equipaggio schierato a poppa, con la recita della preghiera del marinaio ed un pensiero rivolto alle vittime dell'incidente.

 

A Palermo tirava un'aria mesta e triste quando il mattino del 26 attraccammo alla banchina del porto, tre giorni dopo l'incidente. Sul molo, ad attenderci, vi era una folla di alcune centinaia di persone tra parenti delle vittime e curiosi, contenuti da transenne, oltre alle troupe televisive e numerosi giornalisti. Dai volti dei familiari traspariva solo rassegnazione di chi aveva perso ogni speranza di ritrovare in vita le persone disperse in mare, loro unico scopo era quello di dare una degna sepoltura ai loro cari che in quel momento giacevano nella fusoliera o sul fondo del mare: questo ci rattristava molto.

 

Scopo della nostra missione, oltre al pietoso recupero delle salme e del relitto dell'aereo, era anche l'individuazione e il recupero della scatola nera (registratore dei dati tecnici dell'aereo) e della scatola rossa o "voice recorder" (registratore delle ultime conversazioni avute tra i piloti e tra i piloti e la torre di controllo), indispensabili per determinare le cause dell'incidente.

 

La nave Ammiraglio Magnaghi, grazie al potente Sonar che aveva in dotazione, localizzò il relitto il 27 dicembre a meno di un miglio a sud dell'aeroporto di Punta Raisi. Poco dopo Nave Proteo delimitò l'area "Invalicabile" delle operazioni, per uomini e natanti non autorizzati, realizzando un Campo Boe. I nostri sub del COMSUBIN furono i primi ad immergersi. Dopo il primo sopralluogo riferirono che l'aereo giaceva su un fondale melmoso a circa 50 metri di profondità, spaccato in tre tronconi: Coda, Carlinga e Fusoliera. La fusoliera si presentava ai loro occhi come un'enorme cilindro tronco alle estremità, al cui interno si potevano scorgere i corpi intrappolati senza vita degli sventurati, come un'enorme bara.

Da Ancona, intanto, era partito un pontone della società Micoperi, dotato dei mezzi di sollevamento adatti al recupero del relitto. Le condizioni meteomarine peggiorarono ritardando le operazioni di recupero.

Lo zona di mare interdetta dal campo boe era presidiata notte e giorno da unità della Marina Militare. La nave Ammiraglio Magnaghi, dopo aver localizzato il relitto dell'aereo, aveva esaurito il suo compito e ritornò a La Spezia, sul posto rimasero Nave Proteo e Nave Cavezzale, alternandosi al servizio di guardia Notturno.

La vita di bordo in quei giorni era impegnativa per tutti, si lavorava duramente giorno e notte, oltre ai normali turni di guardia e manovre varie, ci si adoperava per recuperare il relitto, la scatola nera e scatola rossa. Tali situazioni provocavano stanchezza, stress, nervosismo e tensione in seno all'equipaggio: una parola fuori posto o futilissimi motivi erano sufficienti per litigare o generare malcontenti. Fortunatamente si verificarono sempre episodi contenuti, ma erano frequenti.

Le operazioni di recupero dell'aereo e delle salme - condotte da uomini della Marina, Vigili del Fuoco, Carabinieri, Guardia di Finanza e mezzi civili -procedevano a rilento, ostacolate anche dalle cattivi condizioni meteo marine, generando malcontento e proteste da parte dei parenti delle vittime, stampa e opinione pubblica, al punto che il nostro Comandante, per ragioni sicurezza, temendo per la nostra incolumità, vietò, per alcuni giorni, libera uscita e il rilascio di interviste ai giornalisti, che erano sempre in agguato.

 

La mezzanotte di San Silvestro la passammo di guardia, ancorati nella rada antistante l'aeroporto di Punta Raisi per sorvegliare l'area delimitata dal campo boe, posizionata in corrispondenza del relitto dell'aereo che giaceva sul fondo. Dalla terraferma non si notarono fuochi d'artificio per festeggiare e salutare il nuovo anno: la popolazione locale era ancora colpita ed addolorata per la tragedia che si era verificata pochi giorni prima. Anche a bordo salutammo il 1979 in modo austero e con sobrietà. Le operazioni di recupero proseguivano ininterrottamente, nonostante le festività di fine ed inizio anno. Nei primissimi giorni di gennaio, gli uomini impiegati sul pontone della Micoperi, coadiuvati da decine di persone delle forze armate, Vigili del Fuoco, operatori e mezzi portuali, agganciarono la fusoliera dell'aereo. Operazione delicatissima e pericolosa. La potente gru in dotazione al pontone Micoperi era capace di sollevare fino a 800 tonnellate di peso. Quando il gruista del pontone cominciò a virare (tirare) lentamente i grossi cavi di acciaio e la fusoliera, lentamente, cominciava a staccarsi dal fondo, la tensione sui volti di chi dirigeva e partecipava alle operazioni era evidente. Durante la risalita in superfice, tre corpi fuoriuscirono dalla fusoliera e furono prontamente recuperati dai sub in assistenza. Uno dei sub fu colto da embolia e ricoverato nella camera iperbarica in dotazione a Nave Proteo.

Durante la risalita del relitto, aumentava la tristezza in un clima di commozione generale. Momenti concitati che trascorrevano in un silenzio assurdo, spettrale (è il caso di dire). Si udivano chiaramente gli ordini impartiti a voce in lontananza. Quando la fusoliera rimase sospesa tra il mare ed il pontone, agganciata al paranco della Gru, una dozzina di cadaveri, fuoriuscirono dall'abitacolo e caddero in acqua, provocando sinistri tonfi. Le salme sfigurate e deformi (gonfie) furono prontamente recuperate ed allineate sulla coperta del rimorchiatore "Marte", che per la circostanza rinominammo "Morte".

 

In seguito furono recuperati la cabina di pilotaggio e la coda dell'aereo. Mancava solo la scatola rossa, il "Voice recorder".

 

Il mattino del 5 gennaio 1979 apprendemmo di un'altra tragedia che si era verificata nel corso della notte precedente (tra il quattro e cinque gennaio 1979) nel porto di Salerno. La motonave "Stabia Prima" era naufragata a in prossimità del molo foraneo del porto di Salerno a causa di una violenta tempesta. Le prime notizie annunciavano morti e dispersi, tra i 14 componenti l'equipaggio se ne salvò solo uno. Mio padre mi confermò per telefono il naufragio e mi riferì che su quella nave erano imbarcati anche alcuni marittimi della costiera amalfitana, tra loro l'amalfitano Enrico Guadagno, imbarcato col grado di Allievo Macchinista, inizialmente disperso, il suo corpo non fu mai recuperato. Conoscevo Molto bene Enrico Guadagno e la sua famiglia, quella notizia mi sconvolse ed accrebbe la mia tristezza.

 

La scatola rossa del DC 9 Alitalia - voice recorder - fu recuperata il 19 gennaio 1979, determinando di fatto la fine ed il successo della nostra missione. Resta il fatto che le cause di quella sciagura non furono mai completamente approfondite, giungendo alla conclusione di un errore umano da parte dei piloti. Una tragedia, tuttavia, troppo presto dimenticata.

 

Rientrati a La Spezia, ricevemmo l'encomio della Presidenza della Repubblica, un televisore a colori (molto costoso nel 1979) per la nave e dieci giorni di licenza premio che si andarono a sommare ai 20 precedentemente non usufruiti.

 

Mi congedai e sbarcai da Nave Salvataggio Proteo il 30 settembre del 1979 dopo 17 mesi e due giorni di imbarco.

 

Nave Proteo, avendo partecipato a diverse missioni di Ricerca e Salvataggio, negli ambienti della Marina si era guadagnata la nomea di Nave "Becchina", dopo la missione di Punta Raisi, ancora di più, e tutti noi, Nave ed Equipaggio, eravamo considerati "porta jella"; i nostri saluti venivano ricambiati sempre, da Navi e uomini della Marina Militare, con gestacci scaramantici (ma fatti con simpatia).

 

Nave Proteo è stata la mia prima Nave e, come il primo amore, "non si scorda mai".

 

Su quella unità della Marina Militare ho maturato esperienze marinaresche importantissime e ho conosciuto uomini dal grande spessore umano oltre che grandi professionisti, che hanno contribuito in maniera determinante alla mia formazione umana e nautica, fondamentale per la mia successiva carriera nella Marina Mercantile. Nella vita niente avviene per caso.

Da allora porto sempre nel cuore quella Nave e gli uomini che su di essa ho avuto il piacere di incontrare, stimare ed apprezzare.

 

*Dedicato alla Memoria dell'allora Tenente di Vascello Franco Schinardi - Direttore di Macchine di Nave Proteo che ci lasciò prematuramente nel 2018. Persona di grande valore umano e professionale.

**Foto a cura di Pica Nicodemo - da Gragnano - che come me - partecipò alla missione descritta.

Fonte: Il Vescovado

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