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Alle “Frattocchie” con Pietro Ingrao

Inserito da Bruno Mansi (redazionelda), lunedì 28 settembre 2015 22:24:49

di Bruno Mansi

C'era una volta il P.C.I. (Partito Comunista Italiano). E c'erano le scuole di Partito. Avevano la funzione di contribuire alla formazione dei futuri quadri dirigenti del partito sia a livello centrale che periferico provenienti dal territorio (sezioni; federazioni; sindacati e movimenti vari). La scuola di partito per antonomasia era le "Frattocchie" dal nome della località in cui era ubicata ad una ventina di chilometri da Roma. Era questa la scuola centrale del partito comunista dove tutti i dirigenti locali aspiravano, almeno una volta, risiedere. In verità la scuola si chiamava "Istituto di studi comunisti", detto anche seminario rosso.

Era il 1974. Eravamo alla vigilia di una importante scadenza elettorale: il referendum per la conferma o l'abrogazione della legge sul divorzio. Referendum promosso dalla Democrazia Cristiana contro la legge approvata nel 1970. Tutto il partito era mobilitato per la conferma di questa grande conquista civile. Con Tonino Della Pietra (che sarebbe diventato sindaco di Maiori) eravamo ad una riunione del Direttivo Provinciale quando Franco Fichera, segretario della federazione ci informò che avremmo fatto parte del gruppo di Salerno per un seminario alle Frattocchie.

La notizia ci fece molto piacere. Con Tonino avevamo cominciato a far politica molto giovani, è stato mio testimone di nozze e siamo ancora sinceri amici. Partimmo in treno il mattino seguente. Eravamo meno di una decina, ci conoscevamo tutti e prendemmo posto nello stesso scompartimento. In quel gruppo c'era anche Isaia Sales, anche se giovane, già autorevole dirigente del partito a Salerno. Con Isaia, negli anni, abbiamo costruito una solida amicizia, che abbiamo poi allargato alle nostre famiglie d'origine, poi a quelle che abbiamo creato noi e, infine, ai nostri figli che continuano, anche se in condizioni diverse, i nostri ideali. Arrivati a Roma fummo prelevati da un autobus che ci portò a "scuola", un grande parco con tre palazzine di fine ottocento. C'erano già altri compagni e altri ne arrivarono. In tutto una cinquantina. Prendemmo possesso dei nostri alloggi, delle stanze multiple con bagni comuni che a turno tenevamo in ordine.

La sveglia era alle sette. Le lezioni iniziavano alle otto dopo una veloce colazione al refettorio dove poi si consumava anche il pranzo, uguale per tutti (anche per i dirigenti) ritirato direttamente dalla cucina. Le lezioni andavano avanti fino a sera tardi e toccavano tematiche diverse. Non ricordo quanto durò il corso. Ricordo invece che l'ultimo giorno avemmo un pomeriggio libero. Con Tonino ce ne andammo a Roma, ritornammo in ritardo trovando i cancelli chiusi. Quando il "compagno" custode venne ad aprirci ci rammentò in modo brusco che non eravamo in vacanza. Il mattino dopo, come da liturgia comunista, c'erano le conclusioni. Erano affidate al compagno Ingrao. Pietro Ingrao rappresentava l'area di sinistra del partito alla quale ho sempre fatto riferimento.

Il suo "utopismo" mi ha sempre affascinato. Mi affascina ancora. Ci ritrovammo tutti nell'aula magna. Ingrao salì in cattedra e iniziò il suo lungo discorso conclusivo. Alle spalle un grande quadro di Guttuso che ritraeva Longo e Paietta in divisa da partigiani. Toccò tutti i punti che avevamo discusso nei seminari ma, soprattutto, si soffermò sull'importanza della scadenza referendaria sia per l'Italia che per il nostro partito. Ci spronò all'impegno. Ci raccomandò di evitare settarismi - innanzitutto - con la base del mondo cattolico.

La fine del suo intervento fu accolto da una lunga e forte ovazione. La legge sul divorzio fu confermata quasi con il 60% dei voti. Quella legge è ancora vigente ed è stata utile anche a quanti allora, erano sull'altra barricata. Oggi non c'è più il P.C.I. e non ci sono più le scuole di partito. La selezione avviene, per lo più, per cooptazione dei capicorrente. I seminari si chiamano "convention" e si tengono in importanti alberghi di rinomate località turistiche. Sarà, forse, anche per questo che metà degli elettori non votano più e che la fiducia nella classe politica non è stata mai tanto bassa? Forse.

Fonte: Il Vescovado

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