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“Capitale della cultura” si diventa. Senza prevaricazioni né gelosie

Inserito da (redazionelda), mercoledì 17 gennaio 2018 08:46:44

di Sigismondo Nastri

Ravello è stata esclusa dalla selezione delle dieci città in gara per il titolo di Capitale italiana della cultura del 2020. Mi dispiace. Credo che le condizioni per questa esclusione siano da ricercare sul territorio. Io - che, per ragioni di età, sono quasi del tutto fuori dall'attività di giornalista, pur pagando ancora la quota annuale all'Ordine - non ho seguito la vicenda se non attraverso le informazioni fornite dai media.

Ma una opinione (che non è vangelo, sia chiaro: può darsi che sbagli) la voglio esprimere. Partendo da un concetto: "capitale della cultura" non si è, lo si diventa. E lo si diventa "anche se non si hanno le caratteristiche specifiche, anche partendo da una città che non è centro culturale affermato a livello nazionale o internazionale". Se si nascesse già "città della cultura" non ci sarebbe bisogno di partecipare alla competizione.

Partendo da questo principio, mi sembra evidente che si diventa "capitale della cultura" migliorandosi, per essere all'altezza delle sfide che ci attendono, adottando una seria programmazione. Con investimenti mirati e a lungo termine. Soprattutto tenendo presente che il titolo è più per i residenti, in funzione dei loro interessi, dei loro bisogni, che per i visitatori. Interessi e bisogni strettamente legati alla "cultura dell'accoglienza", ragione di vita per le nostre comunità. Una "cultura dell'accoglienza" non circoscritta a un periodo dell'anno.

Mi dicono (servizi sul Vescovado e su Positanonews) che chi va in questo periodo a Ravello, come pure in altri luoghi della Costiera - Positano, ad esempio -, trova il deserto. Alberghi e pubblici esercizi quasi tutti chiusi. Non è un bel vedere .

La stessa vicenda di Villa Cimbrone, chiusa perché l'Ausino le ha bloccato il rubinetto dell'acqua, non ha rappresentato - quando l'iter della selezione era già avviato - un buon segnale, facendo sapere urbi et orbi che una località così celebrata è sprovvista di un vero e proprio impianto di depurazione degli scarichi fognari.

Si diventa "capitale della cultura" se c'è la capacità di coinvolgere nel progetto le varie componenti della società civile, gli stessi cittadini. Senza prevaricazioni, senza gelosie, senza polemiche, superando rivalità e divisioni politiche. Mi sembra di poter dire che a Ravello questo è mancato. Cito l'esclusione, tra i partner del progetto, del Centro Universitario Europeo dei Beni Culturali.
Oggi non resta che mettersi tutti intorno al tavolo per capire se si è sbagliato qualcosa.

Fonte: Il Vescovado

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