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Domande senza risposte

Inserito da (redazionelda), venerdì 3 marzo 2017 16:18:02

di Antonio Schiavo

Marwa ha due grandi occhi neri, profondi, bellissimi.

Mamma Anissa e papà Mohamed dicono che c'è tanta luce in quegli occhi.

A Marwa hanno regalato un coniglietto di peluche: la mamma e il papà dicono che ha cominciato a stringerlo con le manine.

Marwa ha solo 15 mesi, da sei giace in coma in un lettino del più grande Ospedale di Marsiglia; inerme, attaccata a macchine che le consentono di respirare ed alimentarsi, con danni cerebrali gravissimi e -secondo i medici- irreversibili provocati da un enterovirus fulminante.

I genitori asseriscono che quella luce negli occhi e quella stretta al peluche sono segni inequivocabili di attaccamento della piccola alla vita. I sanitari sostengono, invece, che non c'è più stato di coscienza e quelli sono soltanto riflessi involontari.

Per questo motivo, forti di una legge dello Stato, vogliono staccare i macchinari ed interrompere ogni trattamento perché inutile, considerando non vincolante la volontà dei genitori.

Ciò accade a pochi giorni dall'altra drammatica vicenda di due italiani che si sono recati in Svizzera chiedendo di essere aiutati a morire dopo anni di sofferenze indicibili e disperazione senza fine.

Non sono un medico, né un teologo, né un giurista, sono solo una persona con tanti dubbi, a volte angosciosi.

Non giudico. Cerco (per quanto possibile) di comprendere, di immedesimarmi nelle paure di chi si dice pronto ad affrontare un passo così estremo, di percepire l'oscurità (fisica e dell'anima) che tutto obnubila e annienta.

In questi momenti non trovo risposte alle mille domande che mi pongo: Cosa farei al loro posto ? E' giusto troncare un'esistenza sulla base di una asettica legge di Stato ( pensate che in Belgio hanno approvato il suicidio assistito anche per i bambini) ? Quando gli sforzi encomiabili di medici e familiari diventano accanimento terapeutico fine a sé stesso? Quanto vale il parere dei genitori, forse folli di quella follia che solo una speranza o una fede può dare, rispetto ad un'oggettiva e sapiente valutazione clinica?

La mia umile coscienza di cattolico mi suggerirebbe di dichiarare - forte - che la vita è sacra e nessuno può decretarne la fine anzitempo, chiedendo contemporaneamente al mio Dio (come fanno di tanto in tanto durante il rosario a Lourdes) di mettersi al capezzale di coloro che piangono e gridano per il dolore.

Ma poi mi chiedo quanto è giusto(secondo la nostra lacunosa concezione di giustizia) far durare quei pianti e quelle grida che dissolvono anche la dignità di una persona ormai martoriata da cure lunghe, strazianti e comunque inefficaci?

Di converso nessuno mi toglie dalla mente che alla base di decisioni così gravi ed estreme ci possa anche essere la solitudine e la disperazione nelle quali vengono talvolta lasciati i malati gravi o terminali, gli anziani non autosufficienti, tutti considerati alla stregua di un costo improduttivo per una struttura sanitaria se non addirittura per la società.

E che, una volta aperto un varco, ideologico o normativo, non si riesca poi a definire il limite, il confine tra il possibile e l'ineluttabile, tra la speranza e l'irreversibilità, tra la ragione e l'emotività.

Tra la luce e il calore negli occhi di una bambina e il buio e il freddo di una stanza sterile di una qualsiasi clinica d'oltralpe.

Fonte: Il Vescovado

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