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Ravello

Le notti della vergogna

Fracasso e malcostume sconfiggono la tradizione di stile ed eleganza che ha sempre contraddistinto la Città

Inserito da (redazionelda), venerdì 21 giugno 2019 12:18:51

di Antonio Schiavo

 

Chissà quando a Cupertino realizzeranno una APP che consenta di percepire odori e sapori.

Facevo questo ragionamento domenica scorsa: era un bel po’ che non capitavo a Ravello di questi tempi. Piazza Vescovado odorava di buono, di pulito; i tigli riempivano l’aria di un profumo delicato ed intenso al tempo stesso, famiglie di forestieri incantati davanti alla maestà della Cattedrale, alla torre di Villa Rufolo. Educati, rispettosi, chiedevano con cortesia informazioni e contemporaneamente il silenzio ai propri bambini che, come è giusto che sia, trotterellavano vivaci e chiassosi, liberi in una piazza accarezzata da un leggero venticello che attenuava la calura di inizio estate.

La giornata poi volge al termine: a via Boccaccio una calca irrequieta per il solito ritardo (o forse una soppressione) delle autolinee SITA, una carovana di turisti che si affrettava verso il capolinea di un grosso torpedone.

Cala la sera, tutti a cena compreso un gruppo di invitati ad un matrimonio che già avevano attinto ad abbondanti libagioni nel tardo pomeriggio.

Ravello si addormenta nella sua stessa pace, come avrebbe detto il Manzoni, o - meglio - tenta di addormentarsi.

Allo scoccare della mezzanotte, poco più o poco meno (vai a guardare il pelo?), nessuna carrozza va a raccogliere la Canerentola di turno appena convolata a nozze, ma un onda di barbari si riversa in piazza. Il tasso alcolemico a punte indicibili, esposizione di lardo anglosassone (effettivamente fa ancora caldo), esibizioni canore degne di Woodstock, canti belluini al cui confronto quelli da stadio sono un coro per voci bianche.

Sedie di un bar rovesciate, effusioni animalesche (niente di trascendentale per carità, ma tanto simili ai corteggiamenti tra mufloni), residui gastrici sui cantucci verso la galleria vecchia, esito di sbronze non sopportate.

Apprendo che anche la notte successiva, verso le due, l’indegno spettacolo si è ripetuto corredato anche da un derby calcistico tra le scale della chiesa e i pini.

Ci risiamo: da decenni tutti sembrano indignarsi ma poche sono state le azioni a contrasto del fenomeno; tutti rimpiangono i bei tempi andati quando Ravello si distingueva da altre località costiere o della riviera romagnola per l’educazione e il senso civico degli ospiti (qualcuno lo chiamava con un po’ di supponenza "turismo d’elite).

Gli operatori turistici in genere (le eccezioni ci sono sempre state) assecondavano tale signorilità con il garbo ed il gusto connaturato a chi in questo posto è nato non sacrificando questa qualità comportamentale sull’altare di mammona, il dio danaro che non puzza per definizione ma ammorba luoghi e coscienze.

Non c’era bisogno di corsi per insegnare la ravellesità, quella era uno stato d’animo geneticamente ereditato, una virtù civica che De Masi ha opportunamente tradotto nel termine azzeccatissimo di "Spirito di Ravello". Che si trasmetteva, come in una trasfusione di plasma, anche a chi desiderava soggiornarvi godendo del silenzio, inebriandosi di quei profumi di tiglio, lasciandosi accarezzare della brezza della sera al chiaro della luna piena.

E quanto al povero Don Angelo gli ridò il consiglio espresso in altra occasione: dovesse ripetersi questa vergogna assoluta, risponda agli schiamazzi, ai canti sguaiati e agli strombazzamenti sciogliendo le campane a distesa.

Qualcuno, oltre ai "privilegiati" che abitano in piazza (e che non riescono a farci il callo) si sveglierà.

Meglio se di soprassalto.

>Leggi anche:

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Fonte: Il Vescovado

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