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Inserito da (admin), mercoledì 7 marzo 2007 00:00:00
La coerenza come valore di coesistenza
Caro Sindaco, riconosco che ai comunicati stampa, di solito, si preferisce il confessionale! Non ha dato risposta alla mia "lettera aperta" di alcuni mesi or sono perché probabilmente ha ritenuto giuste le osservazioni in merito agli incarichi professionali più o meno sempre agli stessi. Sta di fatto che è seguito un silenzio puro.
Oggi, relativamente al "Parco Progetti Regionali", La informo sul prosieguo: in data 13 dicembre 2006 prot. 61.151, ho proposto a questa Amministrazione di recepire (a titolo grazioso, salvo buon fine) due progetti per l'istituendo "Parco Progetti Regionale". Il primo riguardava "Le Torri Longobarde per il gioco dei colombi" ed il secondo "Torri, Hospitali, Chiese ed Eremi della Città de la Cava (da Arco a S. Liberatore, lungo la Via Maggiore)". La risposta dell'Amministrazione, al di là dei contenuti progettuali, è stata perentoria: «Acquisiamo solamente progetti elaborati dai nostri Uffici». L'orientamento mi è sembrato ineccepibile ed ho condiviso pienamente il criterio adottato.
La coerenza, però, soprattutto quella istituzionale, è un valore che va riconfermato, altrimenti perde i propri connotati e diventa "discriminazione". Tant'è: con deliberazione della Giunta Comunale n. 72 del 19.2.2007 è stata approvata la scheda tecnica proposta da professionista esterno all'Amministrazione, contraddicendo palesemente le motivazioni del diniego delle proposte precedenti (13 dicembre 2006)! Di più: ci sono numerose "analogie" tra le proposte e saranno oggetto di più attento esame in altra sede. Il passo successivo, al di là dei bei propositi, mi pare essere: l'espulsione o l'esilio?
Nota storica:
Nell'alto ME, le leggi germaniche prevedevano l'espulsione o esilio quale mezzo coercitivo per l'ottenimento dell'espiazione. Nelle città medievali l'espulsione era una pena importante perché, anche con gli scarsi mezzi di cui disponevano le autorità urbane, frenava il ricorso alla vendetta privata e favoriva la pace interna. Essere messi al bando dalla comunità giuridica urbana significava, anche per i fuggitivi, la perdita della protezione cittadina.
Pronunciata contro debitori insolventi (invece dell'arresto) e contro rei fuggiaschi (in molti casi unita a pene pecuniarie o corporali), l'espulsione era sinonimo di disonore e serviva come mezzo di pressione per far pagare debiti e multe. La sua durata variava da un mese a dieci anni, ma poteva essere anche perpetua, il che comportava la perdita del diritto di cittadinanza. Era applicata su tutto il territorio sottoposto all'autorità cittadina ed alcune volte l'area su cui era esplicata era indicata esplicitamente. Prima della partenza, l'espulso doveva giurare di non ritornare prima del termine stabilito e di aver regolato il debito, la multa o il risarcimento; in caso contrario, rischiava di essere perseguito per spergiuro.
L'esilio comportava l'allontanamento dal territorio sul quale un'autorità sovrana esercitava l'alta giustizia, più tardi (dal XV sec.) dall'intera signoria territoriale. Inflitta per reati gravi, ad eccezione di quelli che venivano puniti con la condanna capitale, che comunque in qualche caso poteva sostituire, era sempre preceduta dall'inflizione di pene corporali disonorevoli (mutilazione, marchio d'infamia, fustigazione). Solo le autorità "statali" potevano comminare l'esilio dal territorio "nazionale"; i centri urbani erano autorizzati a farlo soltanto dalla cerchia cittadina.
Arch. Emilio Lambiase
Fonte: Il Portico
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