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Catullo, poesia, antica roma, latino, amore, letteratura

Catullo e la sua lezione incompresa

La lezione di vita che ci lascia in eredità Catullo ammonisce soprattutto noi giovani d'oggi, nella nostra mania di onnipotenza, che ci porta a credere di essere eterni, solo perché dotati di più strumenti, tecnologici e non, rispetto alle precedenti generazioni

Inserito da (PNo Editorial Board), lunedì 29 agosto 2022 17:34:13

Di Lorenzo Imperato

"Catullo non lo abbiamo capito ", così il Professore Ettore Paratore, nel volume " Letteratura latina dell'età repubblicana e augustea " chiosava parlando del poeta veronese. Eppure, nessun autore, Cicerone escluso, è stato ed è studiato come Catullo, che, da sempre, suscita ammirazione nei filologi, compassione nei critici letterari, amore nei filosofi.

La sua produzione di fatti non ci è mai pervenuta secondo un ordine cronologico, ma il suo libellus di 116 carmi è stato ordinato per affinità di tematiche, seguendo un criterio di prevalenza metrico. Catullo più di altri autori è stato uomo del suo tempo, ha saputo cantare la realtà mutevole della società e quella sempiterna dell'uomo, nella sua dimensione introspettiva. È il filosofo della dimensione interiore ma al contempo è un autore che fa rumore, che non si adatta al concetto virgiliano di silenzio. Così, la sua produzione giovanile pullula di racconti, di critiche, di passioni, di intrecci amorosi, di ideali, come quella di altri poeti. A rendere, perciò, Catullo uno dei più grandi letterati nella storia della letteratura romana non è tanto la sua "vis" nell'esprimere idee e concetti (seconda certamente a quella di Orazio), né tantomeno la sua stupefacente eleganza nella lirica e la sua raffinatezza linguistica, (sempre seconda a quella di Callimaco, suo maestro ed ispiratore), ma la sua innata capacità di contraddirsi. Sì, perché Catullo, a differenza di ogni altro autore latino e non, nelle sue opere non mostrava mai un solo aspetto della realtà, ma ecco che, mentre decantava le bellezze del mondo, sprofondava in un vero e proprio baratro depressivo da cui elaborava pensieri a dir poco sconfortanti. In tutti e 116 i carmina racconta l'amore, partendo induttivamente dalle esperienze personali. Dapprima parla del suo amore per Lesbia, che pare quasi certo si chiamasse Clodia e che fosse una donna di facili costumi, a cui egli però affibbia il soprannome appunto di Lesbia, proprio in virtù della sua devozione a Saffo e del suo attaccamento alla cultura greca, che poneva al centro la bellezza delle donne. La storia d'amore travagliata che egli vive e racconta è ricca ed altalenante: ad una prima infatuazione, si alternano rimbrotti, proteste e l'onta di un amore non ricambiato. Proprio quest'ultima condizione provocherà una scossa interiore in Catullo che puntuale descrive nei suoi carmina questa magica illusione, le improvvise esplosioni di passione, i momenti di profonda nostalgia, gli istanti di erotismo e divertimento, i suoi pianti notturni... Pur parlandoci di sé, al termine di ogni componimento amoroso, Catullo sembra mettere in guardia ogni innamorato sulla vera natura dell'amore, bellissimo ma fugace, tenero ma duro, che fa ardere ma consuma. Egli, che a scuola ci viene presentato come un poeta libertino ed epicureo, alimenta in realtà un sogno di passione esclusiva, delicato come un fiore che dura in eterno: è il poeta della sacralità del matrimonio, dell'amore legittimo che vive nell'icona della famiglia, dell'integrità morale. È il poeta che più sente il bello ed il puro della vita e che soffre indiscutibilmente nel vedere il male trionfare.

Nella nostra quotidianità di persone che amano, quante volte vediamo i nostri sogni infranti, le nostre speranze andare in fumo e scontrarsi con la dura realtà di amori falsi, scelti per convenzione, di fidanzamenti officiati su Instagram, attraverso foto di baci finti, davanti a centinaia di like e di commenti stucchevoli. Eppure, Catullo ci aveva avvertiti e ci avverte ancora, nei suoi carmina, ove racconta appunto la triste realtà dell'amore, divenendo profeta dei tempi. Infine, nei "Carmina docta" (61-69), chiamati così per l'influenza del modello greco e per l'ossequio alla tecnica ellenistica, il "doctus", come amava definirlo il filologo Prof Ignazio Cazzaniga, ci mostra ancora il suo lato tenero di poeta sognatore, in cui riecheggiano epoche passate, ove non c'era la corruzione dei costumi e denuncia il declino della Roma pre-imperiale, ove ricorda l'amore giovanile con spirito dismesso, tipicamente alessandrino. Eppure, al contempo, invita ancora alla speranza, è ancora convinto che le passioni debbano essere vissute a fondo, che la vita sia un dono da godere a pieno, che disperazione e speranza per l'appunto, come ribadirà Seneca tempo dopo, non viaggiano mai separate! "Cosa bella e mortal passa e non dura", questa frase petrarchesca è la perfetta, involontaria sintesi della tranciante lezione di vita che ci lascia in eredità Catullo e che ammonisce soprattutto noi giovani d'oggi, nella nostra mania di onnipotenza, che ci porta a credere di essere eterni, solo perché dotati di più strumenti, tecnologici e non, rispetto alle precedenti generazioni.

Continuando la riflessione impietosa del professore Ettore Paratore, con cui ho aperto la mia ben più semplice ed umile chiosa, mi domando: " Quando capiremo davvero Catullo? Quando avremo il coraggio di comprendere che i veri ideali di amore fedele e sincero, di "santa amicizia ", di rispetto reciproco salveranno il mondo?" L'insegnamento di Catullo, che muore al giorno d'oggi tra un like ed una direct, tra un Tik Tok ed un Tweet, può essere riscoperto solo dai giovani, che ne sono i veri destinatari. Perché, come ci spiega Nietzsche: " La parola del passato è sempre simile a una sentenza di oracolo e noi non avremo ad intenderla fin quando non saremo gli intenditori del presente, i costruttori dell'avvenire".

(Foto di repertorio: Suzy Hazelwood)

Fonte: Il Vescovado

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