Tu sei qui: Flusso di CoscienzaManzoni e la rivoluzione del Vero
Inserito da (PNo Editorial Board), martedì 23 maggio 2023 10:29:55
Di Lorenzo Imperato
Quando si parla della vita di Manzoni, lo stanno facendo in molti in quanto ricorre il 150esimo anniversario della morte, non si può prescindere da questo motto, sintetico ma efficace, contenuto nel carme "In morte di Carlo Imbonati": «Sentir e Meditar... Il Santo Vero mai non tradir».
Manzoni, prima di essere rivoluzionario, patriota, fervente cristiano(?), è stato uomo del Vero, declinato in tutte le sue forme. Nella lettera a Monsieur Chauvet, critica aspramente la poesia fondata sulla mera invenzione, sul sentimento, svincolata dunque da ogni realtà storica, che invece doveva essere, secondo lo scrittore, l'unico motore della letteratura.
In questa visione quasi oraziana della funzione della letteratura, che doveva avere il Vero per oggetto, l'Intrattenimento per mezzo, la Morale per scopo, si inquadra la lunga vita di Alessandro Manzoni.
La letteratura, segnatamente il romanzo, deve quindi presentare una dettagliata ricostruzione storica del passato, senza alcuna mistificazione. Ma la più grande operazione di verità manzoniana è quella che, secondo il poeta, dovrebbe ricoprire la poesia: la quale deve essere onnipresente ed alla quale spetta l'arduo compito di compiere un'approfondita analisi morale ed etica delle vicende umane, interpretando una verità che sfugge allo storico, al narratore di eventi.
La storia di due popolani quali Renzo e Lucia, verghianamente piantati nel loro tempo, non ha pretese di giudizio( anche in questo, Manzoni, fa sua la lezione del poeta venosino, secondo cui la morale ed il giudizio sono in bocca a coloro che, pur ergendosi a giudici, sono in difetto più dei giudicati stessi) ma, attraverso il vero storico e l'introspezione psicologica dei personaggi del racconto, vuole trasmettere un grande insegnamento di vita ai numerosi lettori ed ai posteri: la rettitudine morale e l'etica come unici ed autentici tesori dell' esistenza umana, di cui l'uomo deve essere portatore oltre le avversità.
Un altro aspetto peculiare della letteratura manzoniana, su cui vale la pena soffermarsi, è quello della totale assenza del lieto fine nel suo racconto principe "I Promessi Sposi".
Francesco De Santis, tempo dopo, si interrogherà su questa scelta, che Manzoni stesso laconicamente chiarisce proprio nel carme dedicato a Carlo Imbonati: «Il Santo Vero mai non tradir...». Finché l'uomo vivrà una dimensione precaria, pellegrina, esule, non raggiungerà mai l'idillio, ma continuerà ad essere immerso in una dimensione mutevole, beffarda, errante, come la definirà più tardi Leopardi. Un messaggio pregnante e diretto che ancora oggi dovrebbe scalfire le coscienze umane ed abituarci alla consapevolezza sulla nostra condizione.
La società odierna, intrisa di benessere capitalista, pretende il lieto fine; crediamo che ci spetti di diritto l'idillio, che la felicità ci sia dovuta da fattori esterni, divini, magici, e poi finire, inevitabilmente, per scaricare puntualmente la colpa sugli altri, su Dio, sui sogni, quando appunto non ci sentiamo felici o appagati.
Ancor peggio, ed è a loro che Manzoni dedica il finale non lieto dei Promessi Sposi, sono quelli che invece credono di aver trovato la propria felicità, quelli che si sentono sempre appagati e non cercano di meglio. A loro, come portavoce della verità, Manzoni propone una prospettiva infinita del racconto e quindi dei problemi che affliggono i due finalmente sposi Renzo e Lucia.
Nessuno quindi può dirsi felice davvero, perché tutti hanno dei problemi, dai quali tuttavia si può imparare molto se si è come Renzo. Se si è, per converso, come Lucia, allora saranno loro a cercare noi e a sprofondarci nel baratro delle angosce e delle preoccupazioni. Anche per i vari e le varie Lucia che abitano questo mondo, però, Manzoni intravede una speranza, quella nella Divina Provvidenza, che fa maturare in queste persone, attraverso la sventura, consapevolezza e Virtù!
Fonte: Il Vescovado
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