Tu sei qui: MondoSigiAurelio Fierro, vent'anni dopo
Inserito da (Redazione il Vescovado Notizie), martedì 11 marzo 2025 12:13:26
Di Sigismondo Nastri
Ricorre oggi il ventesimo anniversario della morte di Aurelio Fierro, avvenuta l'11 marzo 2005.
Nato a Montella, in Irpinia, il 13 settembre 1923, egli non è stato soltanto un cantante famoso, che ha lasciato traccia nella storia della canzone, e uno studioso attento della lingua napoletana, come dimostra la pregevole "grammatica" edita nel 1989 da Rusconi con la presentazione di Antonio Ghirelli: un lavoro costatogli anni di studio e di ricerche. Era anche un uomo di profonda e sentita religiosità. Ricordo di averlo incontrato a Pompei, a un raduno di coppie di sposi. C'eravamo andati, io e mia moglie, insieme a una coppia d'amici molto cari: l'indimenticabile Peppino (sempre vivo nel mio ricordo e nel mio rimpianto) e Maria Luisa De Luca.
Nella basilica, gremita, Aurelio Fierro occupava, con la signora Marisa, il banco di prima fila. La cerimonia - messa, omelia del vescovo, monsignor Domenico Sorrentino (ora ad Assisi), recita meditata del Rosario - si protrasse fin oltre la mezzanotte. Poi toccò a lui, inguaribile "guaglione" pacioccone e sorridente, chiudere la celebrazione col canto dell'Ave Maria, in versione napoletana, ai piedi della Madonna. Lo fece con la sua inconfondibile voce calda, ma in modo struggente, accompagnata dai gesti, quasi a voler sospingere con le mani l'invocazione verso il trono della Madre di Dio.
Lo avevo già conosciuto tantissimi anni prima, a un pranzo - del quale conservo piacevole memoria - nella casa del professore Luigi Valletta, a Villa Littorio, frazione di Laurino. Vi avevo accompagnato l'onorevole Francesco Amodio, del quale ero segretario.
Alla notizia della morte di Aurelio Fierro, l'11 marzo di venti anni fa, mi venne spontaneo pensare che, giunto in Paradiso, si era messo subito a cantare davanti al Trono di Dio. E che 《tutt' ‘e Sante - proprio come accadde con i due vecchi professori di concertino della celebre canzone - ‘o ièttero a sentì》.
Fonte: Il Vescovado
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