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Dante Alighieri: una luce enciclopedica nel Medioevo

Inserito da Giuseppe Gargano (redazionelda), giovedì 25 marzo 2021 09:50:16

di Giuseppe Gargano

«Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura / chè la diritta via era smarrita». L'incipit della Commedia di Dante Alighieri cela, tra i suoi versi, la data d'inizio del suo viaggio nei regni dell'oltretomba. La tradizione commentaria sostiene che si tratti del 1300, l'anno del Giubileo indetto da Bonifacio VIII, in quanto l'uomo di mezza età allo scorrere del Duecento doveva avere 35 anni, in relazione alla vita media calcolata per quel tempo in 70 anni. Pertanto, essendo il poeta nato nel 1265, aveva compiuto i 35 anni nel 1300. Non è proprio così: infatti, alla luce delle fasi lunari e della posizione dei pianeti rispetto alle costellazioni indicate dall'autore, si tratta del 1301; quindi 35 anni e dintorni. Per essere precisi, il viaggio sarebbe iniziato il 25 marzo, festa dell'Annunciazione e, per quell'anno, sabato di Passione; la sua durata sarebbe stata di una settimana, culminando nella Resurrezione, il principale dogma del Cristianesimo.

Il viaggio dantesco avviene mediante una rappresentazione teatrale, i cui protagonisti sono sistemati in luoghi precisi dell'al di là non secondo un criterio meritocratico, punitivo o premiale, bensì in base ad una trama ben orchestrata. Ad esempio, degli Hohenstaufen-Altavilla troviamo Federico II tra gli eretici dell'Inferno, suo figlio Manfredi nel Purgatorio, sua madre Costanza nel Paradiso; l'Ulisse dantesco finisce tra i fraudolenti ma nel contempo viene riscattato dal suo coraggioso "fatti non foste a viver come bruti,/ ma per seguir virtute e canoscenza", antesignano delle esplorazioni rinascimentali. "De' remi facemmo ali al folle volo", folle fu il volo del laerzìade come il viaggio dantesco, che ebbe l'ardire, mitigato dalla figura di Beatrice, di rivisitare le sette arti liberali, la filosofia, la storia, il mito, la scienza, la religione, per cui la Commedia è l'enciclopedìadel Medioevo, costruita sulla lezione del maestro Brunetto Latini. Beatrice non impersonifica la Filosofia ma è invece una copertura per proteggere le conclusioni di Dante a proposito dei fenomeni fisici da possibili incriminazioni da parte della Chiesa. Per penetrare i misteri danteschi della Commedia, occorre conoscere il fumoso linguaggio del simbolismo e dell'allegoria. Così possiamo indagare sul suo bestiario: la lonza, un ghepardo mostrato al popolo fiorentino in gabbia per qualche tempo, è la lussuria e Firenze lussuriosa del Duecento, ben diversa da quella umile e morigerata del bisavolo Cacciaguida; il leone è la superbia e la Francia, che ambisce subentrare all'impero; la lupa è la cupidigia, quella della Curia romana ma anche della borghesia comunale; il veltro un cane da presa, forse Cangrande della Scala, l'uomo d'ordine che avrebbe potuto liberare la "serva Italia" dal suo stato di "bordello", ponendo fine alle lotte intestine tra guelfi e ghibellini. La visione politica di Dante, espressa soprattutto nel De Monarchia, ricerca l'impero universale, quello romano-cristiano, lasciando, comunque, ai Comuni una sorta di autonomia periferica. La sua "teoria dei due Soli", il papa e l'imperatore, sottrentra a quella di Innocenzo III del Sole (il pontefice) e della Luna (l'imperatore), secondo la quale questi brilla di luce riflessa generata dal primo. Le sorgenti di luce, invece, sono due: l'una spirituale e l'altra temporale. A giusta ragione Foscolo definisce Dante "il ghibellin fuggiasco", in quanto egli accusa principalmente il papato di aver concentrato in sé i due poteri, creando un disordine universale. "Mal dare e mal tenere" del canto VII dell'Inferno è un'espressione che evidenzia la partita doppia e la conoscenza economica del curioso poeta, che condanna prodighi e avari, nonché la "gente nova" giunta dal contado in città per procacciare affari mercantili. Egli non comprende affatto l'importanza della mercatura legata alla produzione, che sarà la futura fortuna di Firenze; non ammette la politica dei guelfi neri suoi nemici, i quali sono mutuatori degli Angiò e, pertanto, appoggiano la loro politica, quei d'Angiò, i cui "banchieri" finanziatori erano pure allora i Rufolo e i de Marra di Ravello. Alla fine dei primi versi di quattro successive terzine dello stesso canto VII compaiono termini marinareschi: "vele", "lacca", "stipa", "Cariddi". Le vele, la stiva e lo stretto di Messina sono ben chiari ma cos'era la "lacca"? Era il banco di voga dei rematori sulle galee. La sua curiositas marinara raggiunge il culmine con la descrizione dell'attività del tarzanà, l'arsenale veneziano, che il poeta aveva visitato durante le sue missioni diplomatiche presso la Serenissima quando era al servizio dei da Polenta di Ravenna. Egli aveva senz'altro conosciuto i resoconti dei navigatori che, tra lo scorrere del XIII e gli inizi del XIV secolo, avevano superato le Colonne d'Ercole, navigando verso sud, tra cui i Grimaldi genovesi. Che le quattro stelle, le quali illuminavano il cielo australe del Purgatorio, oltre ad essere spiritualmente le quattro Virtù Cardinali, fossero dal punto di vista fisico le stelle della Croce del Sud? «Per li grossi vapor Marte rosseggia»: è un primo tentativo dantesco di spiegare il colore rosso del pianeta Marte, rappresentato dalla sua densa atmosfera. Dopo questa prova generale, egli si azzarda a proporre per le macchie lunari una sua teoria: sono chiare e scure a secondo della densità della materia. Beatrice lo corregge con un arzigogolamento che, sinceramente, non ha né testa né coda; le sonde automatiche inviate dall'uomo del XX secolo gli hanno, invece, dato ragione. L'universo di Dante è quello basato sul modello aristotelico-tolemaico, cioè geocentrico. Egli tenta di transumanar negli spazi profondi mediante una luce anti-gravità, provando a leggerli in una fusione metafisica tomistica e agostiniana: il cosmo visto dagli occhi del credente, che può alfine contemplare l'Onnipresente nello spazio e nel tempo come «l'amor che move il sole e l'altre stelle». Dante è un templare e lo manifesta lanciando segnali significativi. Terza bolgia dell'ottavo cerchio (simoniaci): il poeta anticipa la venuta in quel luogo del papa Clemente V, colui che decretò la fine dei Templari nel 1312. Coluro equinoziale, meridiano celeste, equatore celeste ed eclittica sono i quattro cerchi che la lucerna del mondo giugne con tre croci del canto I del Paradiso: se li disegniamo con precisione, individuiamo la croce ottagona scelta dai Templari nel XIII secolo. All'ispiratore dell'ideologia templare, Bernardo da Chiaravalle, si rivolge il poeta per la supplica alla Vergine, affinchè gli permetta di contemplare Dio. Alcuni storici hanno visto in Dante il punto di arrivo del Medioevo; con la sua morte (1321) avrebbe avuto inizio l'Umanesimo.

Il "viaggio della mente" di Dante Alighieri comincia da una selva oscura e passa dal buio pestifero dell'Inferno alla festa di luci del Paradiso; allo stesso modo il "viaggio della mente" di Parmenide di Elea principia dalla porta arcaica della sua città, che divide le "case della Notte" dalle "case del Giorno". Parmenide contempla l'Uno o l'Essere, Dante il Dio dell'Amore. Il 14 settembre del 1321 egli effettuava un nuovo viaggio nell'al di là ma questa volta senza ritorno, a lui anticipato da Caron dimonio sul fiume Acheronte: «Per altra via, per altri porti/ verrai a piaggia, non qui, per passare: / più lieve legno convien che ti porti». Così purgatasi nel regno di Catone, la sua nobile anima raggiungerà l'Empireo.

Fonte: Il Vescovado

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