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Atrani 2010, per non dimenticare

Inserito da (redazionelda), mercoledì 9 settembre 2015 10:26:18

Mario Amodio, corrispondente de "Il Mattino", fu il primo cronista a giungere ad Atrani quel maledetto pomeriggio del 9 settembre 2010. Noi, dalla redazione di Ravello, ci tenevamo in contatto con lui e con i soccorritori per raccontare, in tempo reale, la drammaticità di quei momenti, per poi raggiungere Atrani in serata. «E' uno scenario apocalittico»: queste le prime parole di Mario, che da giornalista di razza, raccontò minuziosamente quei tragici attimi e che oggi, a cinque anni da quel drammamo il dovere di riportare alla mente, per non dimenticare il dramma di un paese e di una popolazione, ma soprattutto il dolore e la speranza di un grande uomo: Lello Mansi, il papà di Chicca che in 23 giorni dimostrò come la fede in Dio sia più forte delle disgrazie e della morte. La fede in quel Dio che prima tolse e che alla fine gli restituì.

di Mario Amodio - Il Dragone aveva da pochi minuti finito di aggredire alle spalle la piccola cittadina con la ferocia di un agguato quando misi piede ad Atrani. Pioveva a dirotto quella sera di settembre. Erano da poco passate le 19 e svoltai la curva della Maddalena dopo aver superato un autobus turistico che, da Minori, costrinse almeno altre due auto, oltre la mia, a tenergli il passo.

I lampeggianti blu di una gazzella dei carabinieri si riflettevano sui vetri bagnati delle finestre mentre una sagoma, sotto la pioggia battente, si sbracciava invitando a proseguire la marcia. A non fermarsi. Era il capitano Erminio De Nisco, inzuppato come un pulcino da quella pioggia battente. Col solo impermeabile dell'Arma indosso, faceva viabilità sul ponte di Atrani. Giù, nella piazzetta, da poco svuotatasi da quel mare di fango, di acqua e di detriti, si avvertiva invece un clima spettrale di choc e di terrore.

Trovai posto lungo la strada e appena mi sporsi sul piazzale che si spalanca dinanzi al mare della Costiera ebbi la percezione che all'interno era il disastro. Una colonna d'acqua fuoriusciva da uno dei tubi di scolo che dalla strada finiscono a caduta libera dinanzi all'isola ecologica. Il rumore della pioggia copriva le voci. Poche e sommesse. Mi spostai sullo slargo che si affaccia sulla piazzetta e ebbi la conferma del mio timore. Atrani, piccola e fragile al tempo stesso, era stata massacrata dalla furia del torrente. Auto accatastate l'una all'altra e spianate di fango che coprivano in ogni dove l'arredo urbano.

Fui il primo, tra i cronisti, a giungere ad Atrani, dopo aver ricevuto mezz'ora prima una telefonata che mi avvisava della gravità della situazione. Non so ancora chi fosse dietro quel numero a me oggi ancora sconosciuto. Delle poche parole comprensibili, complice una pessima ricezione del segnale di telefonia mobile, riuscii solo a afferrare questa frase: "Ad Atrani ci sono le macchine a mare". La conferma la cercai subito, presso il comandante della locale polizia municipale, Aldo Cavaliere, dopo aver tentato invano di mettermi in contatto con i carabinieri e con i vigili del fuoco. La compagnia di Amalfi era isolata così come decine di utenze telefoniche. Aldo non era ad Atrani. Preoccupato, mi disse che stava rientrando perché la situazione, così come gli era stata descritta, sembrava essere drammatica.

Non esitai. Caricai in spalla la borsa con l'inseparabile pc e scappai ad Atrani. Appena in auto, contatai il capo redattore della redazione salernitana de Il Mattino, per cui lavoro da anni fornendo le cronache dalla Costa d'Amalfi, avvisandolo di una situazione di grave emergenza segnalata ad Atrani. E tale fu lo scenario che mi si apalancò dinanzi, al mio arrivo in quel borgo, dove la distruzione prese drammaticamente il posto della movida e del karaoke.

Il capitano De Nisco, bagnato da testa a piedi, stava scendendo con me i primi gradini della pedonale che porta fin giù ad Atrani quando Tato Cipriano, anch'egli completamente inzuppato d'acqua e con le braccia sporche di fango, risalendo le scale di corsa ci annunciò, con fare trafelato, che la ragazza in forza lavoro alla Risacca "non si trovava". Il Dragone l'aveva strappata dal locale dopo aver investito quel bar in pieno col suo impeto. Per giorni, si cercò tra i cumuli di detriti e nello specchio di mare, che restituì quasi un mese dopo al largo di Panarea il suo corpo. E furono ore di terrore e disperazione quelle che si susseguirono immediatamente dopo il disastro. Per primi, sui luoghi della tragedia, quei pochi che eravamo lì cogliemmo subito la gravità del terribile evento, capace in venti minuti di sconvolgere un intero paese. Ma soprattutto l'inesistenza di piani di emergenza utili a fronteggiare, nell'immediato, gli effetti della catastrofe.

Pochi volontari della protezione civile Millenium di Amalfi, i carabinieri della locale compagnia e tanti giovani a spalare il fango tra i locali del bar e la piazza Umberto I, trasformatasi poco prima in un lago per effetto del tappo di lamiere che bloccò il deflusso dell'acqua dopo l'esondazione del torrente. Furono loro, per primi, a soccorrere Atrani, in un clima spettrale di choc e di terrore. Si cominciò a liberare il bar, dai frigoriferi e dal fango, dagli scooter e dai tronchi penetrati con una furia impressionante in quei venti minuti di terrore. Lello Rispoli, uscì dal bar in lacrime e claudicante.

Ad Atrani era appena arrivata la prima ambulanza, intorno alle 20. Era quella della Croce Rossa di Maiori che stazionò nei pressi del piazzale completamente invaso dal fango, dagli ombrelloni di qualche ristorante e da alcune carcasse d'auto. Corsi personalmente a chiedere aiuto per Lello che aveva riportato un'ampia ferita al piede. Lui, il giorno dopo raccontò quei venti minuti di terrore vissuti con Ciccio Corvino, poi scomparso qualche giorno dopo a causa dello choc, suo figlio Giancarlo e la povera Francesca strappata al bar dalle furia delle acque.

Rimasi ad Atrani fino alle cinque del mattino e non per quel centometrismo della notizia che talvolta anima i cronisti. E furono ore di speranza e di tensione, di caos e di inquietudine. Intorno alle 21 l'arrivo delle prime colonne di soccorso dei Vigili del Fuoco il cui impiego fu invocato a più riprese dal sindaco Nicola Carrano, incredulo e sotto choc, e dal comandante della stazione dei carabinieri Giuseppe Flinio,costantemente attaccato al suo telefono cellulare che nel frattempo aveva ripreso a funzionare. Come i tanti, dopo oltre un'ora di black out. Pioveva ancora ad Atrani quando i caschi rossi iniziarono a rimuovere le carcasse di auto liberando il porticato di accesso alla piazza e prendendo in mano il coordinamento delle operazioni di soccorso e di ricerca di Francesca Mansi.

Sulle scale della chiesa del Salvatore si spinsero i familiari della ragazza: papà Lello accompagnato dal fratello Pio e da alcuni amici tra cui il sindaco di Minori Andrea Reale.

Lo sguardo era fisso, verso la porta di quel bar, in attesa che qualcuno urlasse la notizia. E mentre sul web improvvidamente già si parlava di morte, ad Atrani si spalava nella speranza di ritrovare Francesca. In poco più di un'ora quella piazza vuota e tenebrosa, illuminata dai soli lampioni della rete pubblica, si riempì di gente. Tanti, giunsero per prestare aiuto, altrettanti per far sentire la propria solidarietà personale e istituzionale (i sindaci di Amalfi e di Ravello, di Tramonti e di Scala).

Altri, per assistere al più drammatico degli spettacoli. Sotto le luci delle fotoelettriche si spalò per tutta la notte dopo aver liberato completamente la Risacca. In tanti, delusi e amareggiati, presero atto, con un nodo al cuore, che in quei locali Francesca non c'era.

E fu così che le ricerche si estero altrove. Con maggiore intensità. Principalmente a mare, che in quelle ore si presentava nero come la pece. I sommozzatori dei Vigili del Fuoco cercarono dentro e sotto le auto, tra i tronchi d'albero e in quel che restava delle attrezzature da spiaggia. Di Chicca nessuna traccia. La notte corse via tra agitazione e inquietudine. E quelle poche ore di sonno furono, per tutti, incubi a occhi semichiusi.

Ad Atrani, dal 10 settembre in poi fu un susseguirsi di riunioni e iniziative, di tensioni e apprensioni. Ma anche di lavoro, come quello dei soccorritori o quello volontario degli atranesi e di molti amalfitani accorsi per aiutare la popolazione a ripulire il paese e le attività colpite dall'alluvione. Furono giorni di lutto, per la scomparsa di uno dei sopravvissuti, e di veglie di preghiera per Francesca. Persino la statua della Maddalena eccezionalmente fu ostentata sull'altare maggiore. Ad accompagnare un po' tutti, nei giorni successivi la tragedia, ci furono anche ristoro e caffè dispensati al centro di accoglienza immediatamente allestito dalla Croce Rossa di Maiori. Ma fu il dolore composto di Lello Mansi a rapire gli animi sensibili. Lui, con la sua fede, in quei giorni compì una grande missione: riavvicinare a Dio chi da Dio si era allontanato. Così come Francesca con la sua triste e terribile storia.

Da quei ventitré giorni di speranze e di attesa, Chicca è diventata l'amica di tutti. Anche di chi non la conosceva, ma ciononostante ha pregato e implorato mentre il suo corpo vagava conoscendo l'inferno del fango e degli abissi prima di riaffiorare per incamminarsi verso il paradiso. Oggi, è un angelo custode per chi ha spalato giorno e notte, per chi s'è appassionato e commosso, per chi ha ritrovato la fede.

Ma perché ricordare quella maledetta notte ad Atrani? Non solo per tenere viva la memoria che spesso s'accorcia laddove non dovrebbe.

Perché il dramma di un paese e di una famiglia non possono essere solo oggetto di cronache e di ricordi momentanei. La distruzione e la morte non richiedono solo interventi strutturali a monte, ma impongono programmi di emergenza, piani di evacuazione, monitoraggi degli alvei, sistemi di controllo che con le tecnologie attuali sono in grado di evitare nuove tragedie. Impongono ciò di cui necessitano tanti comuni di questa Costa.

E chissà ancora per quanto saranno costretti ad attendere. A cominciare dalla piccola Atrani. "I torrenti sono come canne di fucile" disse il professor Ortolani all'indomani di quella colata di fango. Ed aveva ragione, se si pensa a quante munizioni abbia esploso il Dragone in venti minuti di catastrofe. Ricordare, oggi, quella maledetta notte ad Atrani, significa evitare che il sacrificio di Francesca sia stato inutile.

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Fonte: Il Vescovado

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