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In ricordo di Alfonso Baccaro, servo della Patria

Inserito da (redazionelda), giovedì 23 novembre 2017 15:18:59

di Rita Di Lieto

Alfonso Baccaro, agricoltore, nato a Maiori il 9 ottobre 1916, ha lasciato di sé un ricordo di persona sensibile, cordiale, disponibile. Già centenario, ha messo per iscritto i ricordi della sua vita militare e della sua penosa e movimentata vita da prigioniero, prima dei Tedeschi e poi dei Russi.

Nel suo racconto si ripercorre tutta la storia della seconda guerra mondiale e la dolorosa storia sottaciuta degli Internati Militari Italiani (IMI).

Militare a Zara come artigliere dal '37 al'39, Alfonso seguì un corso di Radio Telegrafista. Subito richiamato alle armi, fu destinato con incarico speciale di Radio Telegrafista al 51° Reggimento di artiglieria, Divisione Siena a Caserta, dove addestrava le reclute. Il 10 giugno 1940 l'Italia dichiarò guerra alla Francia e il reggimento partì per il Piemonte dove si combatté questa guerra durata appena un mese e mezzo. Dopo l'armistizio di Villa Incisa del 25 luglio 19940, i soldati furono mandati a Battipaglia in attesa di partenza o per la Libia o per l'Albania. Dopo un paio di mesi furono imbarcati a Bari e sbarcati a Durazzo, in Albania.

 

Il 28 ottobre 1940 l'Italia dichiarò guerra alla Grecia. La Divisione Siena fu schierata sul litorale, e da Conispoli, di fronte a Corfù, avanzò in territorio greco fino a Giannina, oltre il fiume Kalamas. Ma fu richiamata indietro, alle vecchie posizioni, perché la Divisione Julia era stata accerchiata e i Greci erano penetrati in Albania. Le perdite erano state ingenti. I Greci sbarcarono anche a Conispoli dalla vicinissima isola di Corfù e la fanteria della Siena li fece tutti prigionieri. Ma i due eserciti, tra attacchi e contrattacchi, si trovarono in una situazione di stallo. Con l'offensiva di primavera e l'intervento dei tedeschi le sorti della guerra volsero a favore delle forze dell'Asse. Il 23 aprile 1941 fu firmato l'armistizio con la Grecia e i soldati italiani andarono a Corinto, zona occupata dall'Italia, in attesa della sbarco insieme ai tedeschi a Creta, dove sbarcarono il 28 maggio e che sempre insieme occuparono fino a quando furono raggiunti dalla notizia dell'armistizio separato dell'8 settembre 1943. E qui vennero disarmati e fatti prigionieri dai tedeschi.

 

Alfonso fu prigioniero per sei mesi per sei mesi ad Atene. Lavorava in una cava di pietre che poi si scaricavano nelle buche fatte dalle bombe alleate nell'aeroporto. Poi per cinque o sei mesi a Zagabria, dove i partigiani tentarono di liberare i prigionieri. Quindi, chiusi nei carri bestiame, furono trasferiti a Berlino, al campo di concentramento Luckenwalde III-A. Non aderirono alla richiesta dei tedeschi di combattere al loro fianco e ogni mattina andavano a Berlino scortati dalle sentinelle a fare lavori di macerie o camminamenti.

 

Quando i russi arrivarono a Berlino, li lasciarono liberi, ma senza dar loro nulla da mangiare. Erano costretti ad andare nelle case dei tedeschi per cercare qualcosa da mangiare.

Poi i russi li hanno riuniti ad Alexanderplatz, divisi per nazionalità, e mandati a lavorare nelle fabbriche, dove smontavano tutti i macchinari che poi venivano portati in Russia. Alfonso ha fatto questo lavoro prima a Berlino e poi a Varsavia. Una volta finito lo sgombero delle fabbriche, i prigionieri furono messi sui carri bestiame e portati in Unione Sovietica. Alfonso fu portato in Estonia a lavorare nei campi, a trebbiare l'erba e a zappare con la motozappa.

 

Finita la guerra, Alfonso tornò in Italia con lo scambio dei prigionieri. A Varsavia i prigionieri furono caricati sui camion e trasferiti a San Valentino, in Austria. Là furono presi in consegna dagli Americani, disinfestati e curati per quaranta giorni. "Ci fecero cristiani e ci ripigliammo" - sono le sue significative parole.

 

Con una lunga tradotta attraversarono l'Italia; fino a Roma nelle stazioni fu dato loro da mangiare, ma poi non ebbero più nulla. Quando arrivarono a Cava dei Tirreni, i siciliani, affamati, assalirono un vagone pieno di generi alimentari. Intervenne la polizia ferroviaria per bloccarli. Alfonso insieme al suo paesano Valente, per non venir coinvolti nella vicenda, decisero di scendere. Raggiunsero a piedi Vietri sul Mare ed lì incontrarono due paesani che li abbracciarono festosi, dicendo che a Maiori tutti li credevano morti. Si era nel 1947.

La mamma andò con lui a sciogliere i voti, ci fecero cristiani che aveva fatto per rivederlo vivo, prima a Santa Maria a mare, poi ‘a Maronna ‘o ripuoso a Vecite e infine a Santa Rita, a Campinola a Tramonti.

Leggi anche:

Maiori dice addio ad Alfonso Baccaro, tra ultimi testimoni degli orrori della guerra

Fonte: Il Vescovado

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