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Tu sei qui: Storia e StorieQuando il positanese De Luise accompagnava i bimbi malati di tifo al Cotugno col suo taxi

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Quando il positanese De Luise accompagnava i bimbi malati di tifo al Cotugno col suo taxi

In tempi di Covid, abbiamo ripescato dagli archivi della memoria un articolo pubblicato su “Il Duca” e risalente al settembre 1998, che a sua volta andava indietro nel tempo, precisamente negli anni ’40. L’autore, il giornalista Romolo Ercolino, racconta di Pompeo De Luise, che all’epoca dell’epidemia da tifo diede un contributo importantissimo ai suoi concittadini

Inserito da (Maria Abate), giovedì 30 luglio 2020 16:43:19

Di Maria Abate

Quella del Coronavirus è diventata una tra le pandemie globali più grandi della storia recente. Quasi 650mila morti e 16,2 milioni di casi, ospedali al collasso ed economia in regressione. Uno scenario che riporta agli anni passati e ci fa pensare che l'avanzamento tecnologico non abbia fatto poi così tanta differenza...

Proprio dagli archivi della memoria - grazie a Maria Della Mura - abbiamo ripescato un articolo pubblicato su "Il Duca" e risalente al settembre 1998, che a sua volta andava indietro nel tempo, precisamente negli anni '40. L'autore, il giornalista Romolo Ercolino, racconta di un "positanese d'altri tempi", che all'epoca dell'epidemia da tifo diede un contributo importantissimo ai suoi concittadini.

«Nell'estate del 1941, un'epidemia tifoidea colpì in modo virulento la nostra regione, anche a Positano si ebbero numerosi casi - scrive il giornalista - ed essendo il tifo molto contagioso, gli ammalati, soprattutto bambini, dovevano essere ricoverati all'Ospedale Cotugno a Napoli, non essendovi nei pressi altre strutture idonee. In questo frangente, brillò per solidarietà, abnegazione e disponibilità verso il prossimo, se si pensa che anche lui aveva una figlia piccola ed una un poco più grande, Pompeo De Luise, che allora era l'unico tassista di Positano e non vi erano ambulanze».

Tramite il suo fidato taxi, Pompeo trasportò «la maggior parte dei piccoli ammalati all'ospedale di Napoli e poiché non sempre vi era disponibilità di letti, per primo attuò la disubbidienza civile non violenta, non si muoveva dall'accettazione fino a quando qualche medico, mosso a compassione, non riusciva a trovare un posto per il piccolo infermo. Quando nemmeno questo era sufficiente, ricorreva alle proprie amicizie influenti e Pompeo sapeva che, in ogni momento, poteva contare sull'appoggio del dott. Giuseppe Parlato, che molti positanesi ricordano ancora con piacere».

Un'impresa non facile, ma che Pompeo si assumeva con orgoglio, trattando tutti i bambini di Positano come fossero suoi figli. «Alla moglie, che, bonariamente, lo rimproverava tutte le volte che rientrava sul tardi, rispondeva: "Maria, vengo dall'ospedale"», racconta Ercolino, evidenziando «la solidarietà e l'affetto verso i propri figli, di una comunità non ancora infetta dalla febbre dell'oro».

Fonte: Positano Notizie

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