Tu sei qui: Storia e StorieTrent’anni fa la strage di Capaci: ad oggi ancora buchi di trama nell’attentato a Falcone
Inserito da (Redazione LdA), lunedì 23 maggio 2022 14:53:13
Trent'anni fa la strage di Capaci scosse l'Italia, ma ancora oggi le dinamiche non sono totalmente chiare.
Era il 23 maggio 1992, quando alle 17.56 e 48 secondi, Cosa Nostra fece esplodere un tratto dell'autostrada A29, nell'esatto istante in cui vi transitava il corteo della scorta con a bordo il giudice antimafia Giovanni Falcone, la moglie e gli agenti di Polizia, sistemati in tre Fiat Croma blindate.
Gli attentatori usarono un radiocomando normalmente impiegato nei modellini di aeroplani, che inviò un segnale a un apparecchio che a sua volta attivò un circuito elettrico collegato ai fili dei detonatori sulla carica esplosiva.
Oltre al giudice, morirono altre quattro persone: la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Vi furono 23 feriti, fra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l'autista giudiziario Giuseppe Costanza.
Molti collaboratori di giustizia, tra cui Giovanni Brusca, organizzatore ed esecutore della strage di Capaci, negli anni Novanta raccontarono che Falcone era obiettivo della mafia fin dal 1983, da quando cioè fu costituito il pool antimafia di Palermo, la squadra di magistrati che indagò sistematicamente su Cosa Nostra e istruì il celebre maxiprocesso.
Ma ancora oggi ci si chiede: «È solo mafia, questa?». Sulle stragi, infatti, esistono ancora oggi enormi buchi di trama: mandanti esterni mai individuati, piste investigative mai battute, moventi molto più complessi della semplice vendetta di un'organizzazione mafiosa.
Anche perché, per eliminare qualcuno, Cosa nostra aveva sempre preferito piani semplici e sicuri. Quello a Falcone, invece, è stato un attentato eclatante che richiede complesse competenze tecniche.
A capo della "stagione delle stragi" c'era sicuramente Salvatore Riina: dopo Falcone, il 19 luglio 1992 fu assassinato Paolo Borsellino. Venne deciso anche l'attentato a Maurizio Costanzo, che per una fortuita circostanza venne fallito. E poi gli attacchi con esplosivo a Firenze, Roma e Milano nella primavera ed estate del 1993.
Ma "Zu Totò", arrestato il 15 gennaio 1993, avrebbe potuto agire indisturbato per così tanto tempo? È per questo che la Procura di Caltanissetta indagò per scoprire se ci fossero complici esterni a Cosa Nostra. Venne iscritto nel registro degli indagati anche Silvio Berlusconi per concorso in strage, in seguito alle dichiarazioni di alcuni pentiti, ma nel 2002 l'indagine fu archiviata.
Nell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, il 23 settembre 2021 la Corte d'assise d'appello di Palermo, ha assolto il senatore Marcello Dell'Utri, precedentemente condannato a 12 anni, «per non avere commesso il fatto», e gli ufficiali del Ros Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, «perché il fatto non costituisce reato».
Gli imputati hanno sempre sostenuto che quella trattativa fosse invece un'attività investigativa con cui si mirava a fermare le stragi e a catturare Totò Riina.
Varie commissioni parlamentari d'inchiesta sulle stragi, inoltre, a più riprese hanno analizzato il materiale a loro disposizione per individuare eventuali organicità tra servizi segreti (cd. "servizi deviati") e criminalità organizzata. L'argomento è comunque particolarmente delicato, sia perché si presta a speculazioni politiche, sia perché può essere difficile distinguere tra lecito e illecito nell'azione dell'infiltrato.
Ad ogni modo, dopo la strage di Capaci l'articolo 41 bis dell'ordinamento penitenziario che prevedeva un regime carcerario con particolari restrizioni, fino a quel momento adottato solo «in casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza», venne esteso ai detenuti per mafia, per impedire il passaggio di ordini e comunicazioni tra i criminali in carcere e le loro organizzazioni sul territorio.
L'unico mafioso considerato tra i mandanti della strage e condannato nel 2020 definitivamente all'ergastolo, a non aver mai scontato la pena è Matteo Messina Denaro, latitante dal 1993.
Oggi, come ogni anno, si celebra in tutto il Paese, in ricordo della strage di Capaci, la Giornata della legalità.
Fonte: Il Vescovado
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